L'ANZIANO FRAGILE
a cura della dr.ssa Palazzi Laura
La popolazione italiana sta diventando progressivamente più vecchia, così come sta accadendo nelle società più evolute.
La progressiva riduzione della natalità e della mortalità e la facilità di accesso alle cure e agli interventi preventivi, hanno sicuramente determinato un innegabile progresso sociale, ma parallelamente il progressivo aumento negli ultimi decenni dell’aspettanza di vita, ha dato origine a quello che ormai si può definire come “pianeta anziani”, con tutte le conseguenti ripercussioni sul piano sociale, economico, sanitario.
Secondo i dati ISTAT in Italia i soggetti over 65 nel 2005 erano il 20% della popolazione totale, nel 2016 saranno il 22% e nel 2026 arriveranno al 25%.
La vecchiaia è una variabile dipendente dalla storia individuale, familiare e sociale, così come la durata media della vita, e quindi anche il concetto di invecchiamento, è una nozione statistica.
Negli ultimi anni la ricerca geriatria si è impegnata nel difficile compito della gestione del soggetto anziano, ma anche e soprattutto della definizione del soggetto anziano fragile, che presenta una notevole complessità clinica.
Sempre più spesso sulla stampa quotidiana si fa riferimento al problema dell’anziano fragile e del paziente anziano fragile; il tipico paziente geriatrico è, rispetto agli altri pazienti, più anziano, più malato, più complicato e più fragile.
Indipendentemente dall’interpretazione concettuale della fragilità, è condivisa unanimemente la definizione di anziano fragile come: un soggetto di età avanzata o molto avanzata, affetto da multiple patologie croniche, clinicamente instabile, frequentemente disabile, nel quale sono spesso coesistenti problematiche di tipo socio-economico, quali soprattutto solitudine e povertà.
I fattori che contribuiscono a definire la fragilità dell’anziano sono molteplici e di diversa natura:
- Comorbilità grave
- Invecchiamento avanzato con conseguente labilità omeostatica
- Alimentazione incongrua
- Polifarmacoterapia complessa
- Stato socio-ambientale critico
- Rischio o presenza di dipendenza funzionale
- Abuso alcolico o di fumo
- Povertà, sedentarietà e solitudine
- Alto rischio di ospedalizzazione
- Istituzionalizzazione
Il paziente anziano fragile l’individuo dove elementi sociali, psicologici e fisici confluiscono nel determinismo dello stato di sofferenza.
Tra le molte caratteristiche che differenziano la medicina geriatrica dalle specialità mediche tradizionali, vi è la presenza di alcuni problemi clinici ricorrenti che possono determinare un ampio spettro di patologie d’organo; nelle persone anziane prevedere o identificare l’organo bersaglio della malattia dai sintomi di presentazione, richiede un’attenta valutazione.
La comorbilità può essere intesa come compromissione organica plurima che porta alla comparsa delle sindromi geriatriche; nell’anziano è frequente riscontrare numerose patologie croniche coesistenti; il numero di tali patologie è variabile, soprattutto in considerazione di quella zona grigia di parafisiologico così frequente nell’anziano: la media è di 3,5 malattie/individuo.
Nell’approccio all’anziano fragile risultano importanti alcuni elementi:
- Sinergismo di potenziamento: la somma di diversi guasti produce il superamento di una soglia funzionale critica che richiama l’attenzione del paziente (ad es. incontinenza vescicale per la compresenza di un’artrosi d’anca che rallenta gli spostamenti e di una terapia diuretica
- Eventi “a cascata”: un evento patologico condiziona o facilita l’insorgenza di un altro, che a sua volta peggiora lo stato funzionale generale e la prognosi del paziente (ad es. una distorsione provoca allettamento che si complica con malnutrizione, stipsi, infezioni urinarie, decubiti)
- Evento “iceberg”: il motivo di una visita medica non rappresenta il problema clinico principale del paziente (ad es. il paziente lamenta magrezza ed inappetenza, mentre al medico appare evidente un severo disturbo della memoria)
- Evento scatenante: un episodio improvviso rende manifesto un problema precedentemente compensato (ad es. la morte improvvisa del coniuge “robusto” evidenzia la grave limitazione motoria per obesità ed artrosi del coniuge sopravvissuto, “fragile”.
Il soggetto anziano quindi rispetto all’adulto, si caratterizza per le modificazioni fisiologiche d’organo e d’organismo, per la ridotta riserva funzionale, per la precarietà d’omeostasi , per la presentazione atipica delle patologie con la conseguente polifarmacoterapia, per l’aumento del rischio iatrogeno, per la difficoltà di diagnosi e terapia, per le complicanze a cascata ed i circoli viziosi.
La fragilità si potrebbe quindi intendere come una condizione fisiopatologica, età-correlata, di vulnerabilità derivante dalla compromissione della riserva omeostatica e della ridotta capacità dell’organismo dell’anziano di reagire agli eventi stressanti; ovvero può essere immaginata come il risultato della contemporanea presenza di deficit, di diversa entità, a carico di varie funzioni o organi, per cui una minima condizione stressante può determinare ripercussioni anche gravi sullo stato di salute del soggetto. Da ciò deriva l’alto rischio di dipendenza, istituzionalizzazione, cadute, incidenti, morbilità acuta, ospedalizzazione e morte.
La definizione di fragilità ha una storia: da rischio di mortalità in eccesso rispetto ai soggetti della stessa età, a problemi riguardanti la funzione fisica, cognitiva e sociale, fino alla dipendenza nelle BADL e IADL(ovvero attività basali e strumentali della vita quotidiana), alla presenza di malattie specifiche, alla discrepanza tra richieste ambientali, supporto sociale e capacità fisica e cognitiva.
La fragilità è spesso confusa con la disabilità: la prima porta alla seconda; infatti ci si può domandare se l’anziano fragile richieda un modello di assistenza o piuttosto soltanto una diagnosi precoce e comportamenti curativi e riabilitativi adeguati ed efficaci.
La fragilità è pertanto un evento primario, indipendente da malattie specifiche; è provocata da eventi che si verificano nell’invecchiamento e ha fattori predisponenti, anche interagenti come la malnutrizione, gli stati infiammatori cronici e l’alterata immunità, così come situazioni stressanti della vita legate ad eventi negativi.
I sintomi più caratteristici da ricercare nel soggetto fragile sono:
- Affaticamento con riduzione della forza muscolare
- Disidratazione
- Anoressia con calo ponderale e riduzione della massa magra (sarcopenia) ed anche della massa ossea (osteopenia)
- Riduzione dell’attività fisica con anomalie dell’equilibrio, dell’andatura e della velocità del cammino
- Stato depressivo e conseguente apatia
- Tendenza all’allettamento con stato confusivo e rischio di formazione di decubiti
- Aumentato rischio di ospedalizzazione e morte
La fragilità pertanto individua una condizione di pericolosa vulnerabilità con conseguenze prevedibili e comunque infauste: rischio di cadute, disabilità, ospedalizzazione e morte.
Sono state proposte dai vari Autori diverse Scale di Valutazione, più o meno semplici, in grado di permettere la diagnosi precoce o la valutazione del rischio di sviluppare fragilità.
Alcune scale assegnano un punteggio ai diversi gradi di anormalità dei vari organi o funzioni (APACHE, LOD), altre si basano prevalentemente sugli indici di forza e di mobilità (Geriatric Status Scale, PULSES Profile, Barthel Index).
Una valutazione di tipo qualitativo del rischio di fragilità è stata proposta da L.P.FRIED , che ha identificato 5 indici per la predizione del “fenotipo” fragile:
- Perdita di peso (pari ad almeno 4,5 Kg nell’ultimo anno)
- Affaticamento (self-reported): fatica in almeno 3 giorni/settimana
- Riduzione della forza muscolare (hand-grip): meno di 5,85 e 3,37 Kg nel maschio o femmina rispettivamente
- Ridotta attività fisica valutabile con la scala PASE (Physical Activity Scale for Alderly)
- Riduzione della velocità del cammino (percorso noto: più di 7 secondi a percorrere 4,57 metri).
C’è fragilità quando sono presenti almeno 3 dei 5 item riportati; quando sono presenti meno di 3 item si può parlare di pre-frail.
Un’altra è la Scala di Valutazione del Rischio di Fragilità (SVaRF), che considera la compromissione di vari organi ed apparati assegnando un punteggio (da 0 a 25) in base al grado di disfunzione; viene valutata la funzione cardiaca, renale, respiratoria, dell’apparato locomotore e sensoriale e vengono inoltre considerati il metabolismo, lo stato nutrizionale, l’umore, lo stato cognitivo, la capacità di adattamento in funzione del tratto caratteriale e l’influenza dell’ambiente in cui l’anziano ha vissuto ed in cui vive attualmente. Un punteggio inferiore a 8/25 indica un basso rischio di fragilità, tra 9 e 16, un rischio medio e tra 17 e 24, un rischio elevato; se superiore a 24, indica lo stato di disabilità manifesta.
Autori Canadesi hanno proposto la Clinical Frailty Scale con 7 livelli: dal più robusto ed attivo (very fit), al completamente dipendente (severely ill).
Ai fini di identificare l’anziano fragile, risulta incerto invece il significato di possibili markers flogistico-coagulativi (proteina-C-reattiva, fibrinogeno, IL-6, D-dimero) e metabolico-endocrini (glicemia, insulina, cortisolo).
Nell’ambito dell’assessment geriatrico, strumento fondamentale ai fini della valutazione del paziente anziano e quindi anche nell’identificazione dell’anziano fragile, risulta essere quello della Valutazione Multidimensionale –VMD (o Multidisciplinare), che permette di effettuare un’analisi globale del soggetto, attraverso la valutazione del suo stato fisico, funzionale, mentale e sociale, in modo da poter giungere ad un intervento il più possibile personalizzato.
Da un punto di vista operativo, la VMD si attua somministrando al paziente scale di valutazione specifiche per ogni campo da esplorare quali la disabilità funzionale (ADL- Activities Daily Living) e strumentale (IADL- Instrumental Activities Daily Living), la cognitività (MMSE-Mini Mental Status Examination e SPMSQ-Short Portable Mental Status Questionnaire), il tono dell’umore (GDS- Geriatric Depression scale), lo stato nutrizionale (MNA- Mini Nutritional Assessment), la comorbilità (CIRS- Cumulative Illness Rating Scale), il rischio di lesioni da decubito (Scale Norton ed Exton-Smith ed altre).
Il grande pregio di questi strumenti della VMD cosiddetti di prima generazione, è che sono metodi validati in varie tipologie di soggetti anziani, semplici e rapidi nell’esecuzione, ampiamente diffusi e quindi confrontabili in ambito sia clinico che di ricerca.
Attraverso la VMD è possibile impostare il piano terapeutico e riabilitativo (intensivo, tempestivo e globale) per permettere di il recupero dalla condizione acuta, riducendo al minimo la perdita della riserva funzionale dell’apparato colpito; mira inoltre a conservare l’abilità funzionale globale e ad impedire il sovrapporsi di comorbilità; infine mira a ridurre i fattori di rischio di fragilità permettendo il recupero della funzione lesa dall’evento acuto e potenziando gli apparati meno compromessi.
Il tempestivo riconoscimento pertanto delle situazioni a rischio di fragilità, consente di intervenire con procedure preventive, come esercizio fisico, incoraggiamento al movimento, revisione dei farmaci assunti, miglioramento della dieta, ai fini quindi di prevenire la fragilità e di diffondere la cultura geriatrica del “successful aging”.
Aggiornato il 28-04-2015 alle ore 18:57:46